Le sette voci da controllare sulle etichette dei cibi

Gli alimenti confezionati fanno parte del menu quotidiano, ma leggendo attentamente la tabella nutrizionale è comunque possibile scegliere bene, come spiega la biologa Sabina Rubini
Il valore energetico
Nata a tutela del consumatore, la tabella nutrizionale ha lo scopo di evitare che le aziende produttrici possano dare informazioni incomplete all'acquirente, mettendo in evidenza gli eventuali vantaggi di un prodotto (ad esempio il suo basso contenuto di zuccheri) a discapito delle sue "criticità" (ovvero, evitando d'indicare il quantitativo dei grassi presenti). Per orientarsi al meglio in un elenco di voci spesso di difficile comprensione abbiamo chiesto aiuto alla dottoressa Sabina Rubini, biologa co-founder dello studio ABR ed esperta in Sicurezza degli Alimenti. «Nella dichiarazione nutrizionale si trovano informazioni sul contenuto calorico e nutritivo dell'alimento e le voci obbligatorie riportate devono essere inserite esclusivamente secondo l'ordine indicato dalla normativa, che serve a dare un'idea di quali siano i nutrienti da tenere maggiormente in considerazione». E al primo posto troviamo il valore energetico, riferito a 100 gr o 100 ml di prodotto. «Non tutti i nutrienti liberano energia - sottolinea l'esperta - ma solamente i glucidi, i lipidi e le proteine, che ritroviamo obbligatoriamente inseriti in etichetta». Quantificando, 1 grammo di glucidi e di proteine liberano 4 Kcal (17 Kj) ciascuno, mentre 1 grammo di lipidi 9 Kcal (37 Kj), il che fa capire facilmente come l’ingestione di lipidi implichi un apporto calorico maggiore.
I grassi
I grassi, o lipidi, sono necessari all'interno di una dieta equilibrata, perché svolgono molteplici funzioni all'interno dell'organismo: sono infatti la principale riserva energetica, forniscono protezione meccanica e sono precursori di numerosi ormoni (tra i quali quelli sessuali), vitamine (come la D) e acidi biliari e possono inoltre agire come isolanti termici. «Volendo dare delle indicazioni generali, per i lattanti il fabbisogno di lipidi è del 50%, che scende al 35-40% nei bambini fino a 2 anni, al 30% negli adolescenti fino a 20 anni e al 25% nelle età successive», spiega la dottoressa Rubini.
Gli acidi grassi saturi
Osservando la dichiarazione nutrizionale, l'occhio cade inevitabilmente sulla quantità di acidi grassi saturi che, per legge, devono essere obbligatoriamente indicati sull'etichetta, a differenza dei grassi monoinsaturi e polinsaturi, che possono essere inseriti come voci volontarie e, quindi, a discrezione del produttore. «Assunti con alimenti come burro, latte e suoi derivati, insaccati e carni - comprese quelle ritenute magre, perché il grasso è infiltrato tra le fibre muscolari - gli acidi grassi saturi sono sempre stati visti con sospetto - commenta l'esperta - e questo non solo a causa dell'insorgenza di malattie cardiovascolari e di patologie aterosclerotiche ad essi attribuiti, ma anche per la formazione del colesterolo LDL, il cosiddetto "colesterolo cattivo", da essi favorito, che risulta più elevato nelle persone con stile di vita sedentario, nei fumatori e nei soggetti obesi. Sebbene recenti studi stiano tentando di riabilitarli, non è il caso di abbassare la guardia, ricordando che in un soggetto adulto il consumo di questi acidi grassi non deve superare il 10% del consumo totale di grassi».
I carboidrati (di cui zuccheri)
I carboidrati si possono distinguere in "semplici" e "complessi", come pure in "disponibili" e "non disponibili", a seconda che siano utilizzabili direttamente a scopo energetico o non utilizzabili perché non digeribili, non assorbibili e non metabolizzabili. «In una dieta equilibrata è necessario che la percentuale raccomandata di carboidrati, pari al 60-65% del fabbisogno energetico totale, sia rappresentata soprattutto da quelli di tipo complesso, ovvero gli amidi contenuti in cereali e derivati, legumi e tuberi - spiega ancora la biologa - mentre bisogna fare molta attenzione agli zuccheri semplici, a volte invisibili, che assumiamo con alimenti quali latte, frutta, marmellata, bibite gasate, succhi di frutta, zucchero da tavola e via dicendo, perché in questo caso in un individuo adulto il fabbisogno totale non deve mai superare il 10-12%, pari a 60-70 grammi al dì in una dieta di 2500 Kcal».
Le proteine
Costituiti da amminoacidi, l'importanza di tali nutrienti si basa sul loro valore biologico: più è alto e più sta ad indicare la presenza di amminoacidi essenziali, assunti attraverso l’alimentazione (si trovano nella carne, nel pesce, nel latte, nei formaggi e nelle uova) e non prodotti dall'organismo. «Nell'ambito di una dieta bilanciata, in un adulto l’apporto giornaliero di proteine deve essere pari a 1 g/Kg di peso corporeo/die, ossia il 10-13% dell’energia, rispetto all'apporto energetico totale», raccomanda la dottoressa Rubini.
Il sale (non il sodio)
Per renderlo di più facile comprensione, sulla tabella nutrizionale il termine "sale" è stato preferito a quello di "sodio", che è il nome della sostanza nutritiva, ma l'attenzione nei suoi riguardi dev'essere comunque sempre massima «perché, a dispetto della sua importanza per l'organismo, è però anche vero che il consumo prolungato di quantità eccessive di sale può predisporre all'insorgenza di patologie come l’ipertensione arteriosa nei soggetti predisposti, col conseguente rischio di malattie cardiovascolari e ictus, prima causa di morte e disabilità a livello mondiale», commenta la Rubini. Contenuto principalmente nel sale da cucina, il sodio è però naturalmente presente anche nel latte (ne contiene circa 50 mg per 100 g) e nelle uova (circa 80 mg/100 g), come pure in alimenti trasformati, fra cui pane (circa 250 mg/100 g), salatini (circa 1.500 mg/100 g), salsa di soia (circa 7.000 mg/100 g) e, più genericamente, nella maggior parte degli alimenti conservati, quali salumi, insaccati e alcuni formaggi. «Fino a qualche tempo fa il valore di sale raccomandato poteva oscillare fra i 4 e i 6 grammi al giorno - spiega ancora la biologa dello studio ABR - ma con le nuove linee guida dell’OMS tale valore è stato categoricamente abbassato a meno di 5 grammi».
Il caso dei grassi trans
Derivati da processi industriali ed assunti sotto forma di oli parzialmente idrogenati, i grassi trans o TFA (trans fatty acid) sono stati consumati per anni senza problemi perché è stato scoperto che, se non vengono correttamente riconosciuti all'interno dell'etichetta, tendono a passare inosservati. «Il che rappresenta invece un grave rischio - avverte l'esperta - poiché tali sostanze sono più pericolose dei grassi saturi e, a parità di calorie, il loro consumo innalza il livello del colesterolo LDL, o cattivo, ma non di quello HDL, o buono, inducendo così ad un aumento del rischio di cardiopatie coronariche che, secondo una stima riportata nella relazione del 2015, possono causare circa 660.000 decessi nell'Unione Europea ogni anno, ossia quasi il 14% della mortalità totale». Non stupisce dunque che nel 2015 la Commissione europea abbia rilasciato una relazione riguardante "i grassi trans negli alimenti e nella dieta generale della popolazione dell'Unione", a cui ha fatto seguito nel 2016 una proposta di risoluzione, mentre gli Stati Uniti hanno già annunciato che, a partire dalla metà del 2018, gli oli parzialmente idrogenati saranno vietati in tutti i prodotti venduti sul mercato nazionale. «Un consiglio valido può essere quello di fare attenzione a quei prodotti che, sull'etichetta, riportano la dicitura "presenza di grassi parzialmente idrogenati", come nel caso di prodotti da forno confezionati, pietanze precotte, patatine, popcorn e creme spalmabili al cioccolato - suggerisce la dottoressa Rubini - ma anche di limitare il consumo di cibi da fast-food, che spesso utilizzano i TFA per friggere o l'utilizzo di margarine dalla consistenza dura».

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