Vi è un collegamento tra Vitamina D e Coronavirus?

Assumere vitamina D per combattere la pandemia da coronavirus? Da alcuni giorni il “consiglio” gira sul web e sui social. Ma quanto c’è di vero? Tutto nasce da un’analisi condotta da due docenti dell’Università di Torino, Giancarlo Isaia e Enzo Medico. Il lavoro, sottolineano gli autori, analizza possibili concause per lo sviluppo di Covid-19 e propone la vitamina D (che in realtà è un ormone) «non certo come cura, ma come strumento per ridurre i fattori di rischio». I primi dati raccolti dai due studiosi indicano che molti pazienti ricoverati per la patologia presentano un’elevatissima prevalenza di ipovitaminosi D. Isaia e Medico sottolineano però che non si tratta di uno studio clinico conclusivo e che i risultati non sono stati pubblicati su alcuna rivista scientifica. «Lo spirito del documento non è dimostrare l’efficacia della vitamina D specificamente sull’infezione da Sars-CoV-2, bensì richiamare l’attenzione generale sulla necessità di assicurare a tutti i soggetti anziani normali livelli di questa vitamina — sottolineano gli autori —, onde evitare che molti di essi, soprattutto quelli a rischio, possano ritrovarsi più esposti al danno conseguente alla patologia da Covid-19».
«Nessun collegamento con Covid-19»
La riflessione dei due docenti ha suscitato molto interesse nella popolazione (ed è stata ripresa da numerose testate giornalistiche e siti internet), ma è stata criticata da parte della comunità scientifica. Luca Richeldi, primario di Pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma e membro della Commissione tecnico-scientifica del Ministero della Sanità, ha espresso con molta chiarezza i dubbi al riguardo: «La vitamina D va integrata quando è carente, ma non ha a che fare con il coronavirus. Ovviamente una persona che ha carenza di questa vitamina ha un sistema immunitario non efficiente, ma non c’è alcun collegamento. Bisogna stare attenti, anche perché abusandone si rischia l’insufficienza renale».

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