L’ansia parte dell’intestino, cosa succede nel nostro cervello emotivo

I batteri che abbiamo nell’intestino possono essere responsabili degli stati di ansia e depressione che viviamo: ecco perché.
I batteri nel nostro intestino potrebbero essere i responsabili degli stati d'ansia in cui viviamo: a darci questa notizia sono i ricercatori dello University College Cork che sulla rivista Microbiome hanno pubblicato lo studio intitolato “Microbial regulation of microRNA expression in the amygdala and prefrontal cortex”. Ma come è possibile?

Chi sono i microRNA. I microRNA sono molecole che regolano i geni nel nostro cervello e che, a quanto pare, interferiscono con i batteri al punto da modificare il nostro assetto emotivo.

Lo studio. Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno messo a confronto le reazioni di due gruppi di topi, al primo gruppo sono stati tolti i microbi dell'intestino e i topi sono stati inseriti in un ambiente libero da germi, il secondo invece è servito da gruppo di controllo (topi non modificati in ambiente non modificato).

I risultati. Dai dati raccolti è emerso che i topi senza germi mostravano con il tempo ansia, deficit nella socialità e nella cognizione e comportamenti simili alla depressione. Gli altri invece si comportavano normalmente. Ma come mai?

Test sul cervello. Osservando le reazioni del cervello, gli scienziati hanno notato che l'interazione tra microbi e microRNA aveva effetti sull'amigdala, che si occupa di gestire le emozioni, e sulla corteccia prefrontale, che invece è legata all'espressione della personalità e alla capacità di prendere decisioni. Un'influenza su queste aree porta i soggetti a sviluppare ansia e depressione.

Conclusioni. ‘I microbi intestinali sembrano influenzare i microRNA nell'amigdala e nella corteccia prefrontale, questo è importante perché possono influenzare processi fisiologici fondamentali per il funzionamento del sistema nervoso centrale e in regioni del cervello (come appunto l'amigdala e la corteccia prefrontale) che sono fortemente implicate nello sviluppo di ansia e depressione”, ha spiegato Gerard Clarke, uno degli autori dello studio.

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