L' Amore al tempo del Coronavirus



Pure il bacio è illegale. Sconsigliato dalle autorità, guardato ormai con il sospetto che si associa ad un criminale, un evasore, tipo. Da bacio in bacillo. Lo chiameremo così, mentre il mondo tutto intorno viene rovesciato dal coronavirus, imponente barriera tra le persone, ennesimo atto di un processo di asocialità e disumanizzazione già avanzato nella nostra società. Eppure imprevedibile.
Distanza almeno di un metro. Nemmeno il segno della pace in chiesa è permesso. Gli amici, lontani. Gli amanti, non ne parliamo. Adunate sconsigliate. Manifestazioni di protesta: già non ce n’erano, il coronavirus è la pietra tombale pure sulle ‘sardine’. Magari tutto questo sarà la spinta per sviluppare ulteriormente le tecnologie digitali, portarle nelle scuole e uffici pubblici finalmente, ridurre le file alla posta, favorire il lavoro da casa. Dal letame nascono i fiori, cantava De Andrè. Ma a che prezzo?
Il coronavirus non permette di restare umani, almeno per un periodo non si sa quanto lungo e con strascichi tutti da vedere. E’ l’unica certezza che possiamo maturare sulla situazione. Ci sentivamo così liberi e sicuri nelle nostre società europee da avere l’ardire di non occuparci di chi nel mondo libero non è. Ora siamo costretti a vivere da reclusi, persino a morire da soli, se ci dice proprio male.
Costretti a stare a distanza l’uno dall’altro. Prima era una scelta, molto comune, favorita dai social. Ora è l’indicazione delle autorità che non incontra contestazioni di sorta, naturalmente. Il proibizionismo su baci e abbracci diventa automaticamente legge per ognuno, arma di riparo, obbligo autoindotto dalla paura e da quell’opera che il coronavirus ha già compiuto dentro di noi, infettati e non, scavando nelle nostre fragilità come un tarlo, bucando l’ego di tutti e producendo una trasformazione antropologica già evidente.
Ma magari sta qui la chiave per ritrovare l’umanità perduta, quando e se tutto sarà finito. Persi nel mondo dei sociali, travolti dai canali ‘all news’ e dall’abitudine di passare da una ‘top news’ all’altra di ora in ora senza approfondimenti, avevamo bisogno del coronavirus per svegliare una coscienza sociale in letargo. O semplicemente per riprendere in mano Camus o Manzoni, che ci hanno detto tutto sulle epidemie tanto tempo fa.
E’ difficile non guardare al coronavirus come a un ingrediente fondamentale della transizione già avviata in un mondo ancorato a vecchie logiche anche energetiche, per dire, eppure proteso verso una nuova epoca che stenta a emergere. L’epidemia è un fatto – provvidenziale, divino, diabolico, vattelapesca: fate voi – che ci accompagnerà in un nuovo mondo dove tutti avranno le ossa rotte, economicamente e senza distinzioni tra paese, ma magari nel frattempo si sarà riscoperto il valore dell’incontro, della solidarietà e tutti quelle cose che oggi bistrattiamo con cinismo e indifferenza.
Sempre se saremo capaci di uscire dalla nostra Orano, la città algerina di Camus dove tutti presto si abituano alla nuova vita da reclusi. Si potrebbe fare come Florentino e Fermina de ‘L’amore ai tempi del colera’ del Nobel Garcia Marquez: finalmente insieme sul battello mentre tutto intorno la foresta pluviale è sfigurata dal colera.

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