Attacco di cuore: quanta attività fisica si può fare dopo l’infarto

Uno studio scientifico dimostra che è auspicabile l'esercizio fisico dopo malattie cardiache ma esiste una soglia limite. Non tutti però sono d'accordo

I medici concordano che dopo un attacco di cuore è bene fare dell‘attività fisica adeguata in modo costante. Studi scientifici hanno dimostrato che dopo un infarto i pazienti che hanno seguito i programmi di riabilitazione cardiaca proseguendo nell’esercizio fisico hanno una maggiore probabilità di vivere più a lungo di quelli che si sono ridotti a una vita sedentaria.
Cinquant’anni fa a chi subiva un attacco di cuore venivano prescritte settimane di riposo assoluto a letto, con la conseguenza di trasformare molti di questi malati in invalidi permanenti. Una ricerca del 2014, pubblicata negli Mayo Clinical Proceedings, mostra che una regolare e controllata attività fisica riduce il rischio di morte nei pazienti con problemi cardiaci. L’importante è non superare una certa soglia, altrimenti l’allenamento potrebbe essere fatale. Gli studiosi sottolineavano che dopo un infarto è sconsigliato superare ad esempio i 50 chilometri a settimana. Tuttavia, i dati dimostrano che le aspettative di vita dopo un infarto sono migliori per chi fa del movimento.
L’indagine svolta dal National Runners’ Health Study and the National Walkers’ Health Study ha preso in considerazione i dati di 100mila persone, di cui 924 maschi e 631 femmine che sono stati colpiti da un attacco di cuore. Lo studio ha evidenziato che gli individui con problemi cardiaci che corrono per 12 chilometri alla settimana o camminavano per 20 chilometri in sette giorni hanno un rischio di mortalità più basso del 21% rispetto a pazienti sedentari. Ma chi supera i 50 chilometri a settimana di corsa diminuisce il rischio di mortalità solo del 12%.
Da questo studio emerge quindi che è possibile fare dell’attività fisica dopo un attacco cardiaco, anzi è auspicabile, purché sia controllata e rispetti i corretti parametri.
In ogni caso, gli esperti hanno sottolineato che questa ricerca presenta dei limiti. Si basa solo su dati statistici e sulle interviste dei pazienti presi in considerazione, ossia non considera dati scientificamente oggettivi, mancando così della dovuta precisione. Inoltre, considerando i risultati si evince che i sopravvissuti a infarti che corrono le distanze più lunghe superando la soglia consigliata, sono mediamente più giovani degli altri. I ricercatori non tengono conto di questa discrepanza d’età e non considerano che le malattie cardiache sono più progressive e difficili da trattare in pazienti relativamente giovani, tra i quali quindi il tasso di mortalità è più elevato.

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